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Incontro con Fabio Quassoli

Aprile 19, 2023

Il 28 aprile OIKOS ospiterà a Udine il professor Fabio Quassoli, docente di “Sociologia dei processi culturali e comunicativi”, all’Università di Milano-Bicocca. Sarà in dialogo con Fabiana Fusco, docente di Linguistica e direttrice del Dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società dell’ Università di Udine. A introdurre gli ospiti e mediare l’incontro ci sarà Rossella Marvulli, giornalista pubblicista e operatrice sociale presso OIKOS onlus. L’evento di svolgerà con il patrocinio dell’Università di Udine.

Partendo dall’ultima pubblicazione del professor Quassoli, ‘Clandestino’, approfondiremo come il linguaggio e l’immaginario delle migrazioni e delle minoranze in Italia riflettano una precisa modalità di gestione del fenomeno migratorio da parte delle amministrazioni e degli organi del potere. Con il contributo della professoressa Fabiana Fusco amplieremo la conversazione per riflettere sulla relazione che esiste tra il linguaggio e la realtà sociale. Le parole non sono neutre: ci sono parole che danno forma alle cose, che non si limitano a descrivere ma hanno il potere di piegare la realtà – perfino di determinarla. La nostra operatrice sociale e giornalista pubblicista Rossella Marvulli introdurrà gli ospiti e modererà la conversazione.

L’incontro si terrà dalle 16.30 alle 18.30 presso la Sala Florio di Palazzo Florio, sede dell’Università di Udine presso via Palladio n° 8. La disponibilità della Sala Florio è di 45 posti, chi vorrà partecipare potrà compilare il modulo google (per ottenerlo clicca QUI) oppure può contattare l’organizzazione attraverso i canali social o con una mail all’indirizzo comunicazione@oikosonlus.net.

L’evento è organizzato all’interno del progetto PRASSI INTERMEDIA: “Prevenzione della RAdicalizzazione tramite la formazione degli operatori della sicurezza e dei profeSSIonisti dell’INformazione nei TERritori e nei MEDIA”. L’ente finanziatore del progetto è la Regione FVG nell’ambito del Programma Immigrazione 2022. PRASSI INTERMEDIA si svolge in collaborazione con: il Comune di Fagagna, l’Ordine dei Giornalisti, la casa editrice Bottega Errante.

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‘Emergenza immigrazione’: davvero?

Aprile 14, 2023

Non c’è alcuna emergenza da dichiarare, non c’è alcuna crisi in atto: i flussi migratori che attraversano l’Italia e l’Europa sono parte di un fenomeno STRUTTURALE e come tale devono essere gestiti. 

I numeri sono chiari, in Italia e nel resto dell’Unione Europea:

  • sono dieci anni che il numero di richieste asilo aumentano in Europa (nel 2022 sono aumentate del 50% rispetto al 2021) [Dati EUAA]
  • l’Italia è al di sotto della media europea per numero di richiedenti asilo/rifugiati per abitante: la percentuale di persone immigrate rispetto al numero degli abitanti è di 18.8% in Germania, 14.6% in Spagna, 13.1% in Francia e 10.6% in Italia. [Elaborazione dati UNDESA 2019-2020]

Eppure, come riporta Schiavone, l’Italia non aumenta i numeri delle strutture d’accoglienza: addirittura li ha tagliati da 169 mila nel 2019 a 97 mila posti nel 2021 [Openpolis]. Il sistema di accoglienza che aveva retto agli urti dell’alto numero di arrivi del 2016 e 2017 è stato volutamente smantellato e indebolito e adesso è molto dura ricostruirlo.

E il problema non sta solo nella nei tagli sulla quantità di posti, bensì nella qualità dell’accoglienza stessa. Invece che promuovere le strutture di piccole dimensioni e l’accoglienza diffusa, vengono privilegiate invece strutture concentrazionarie, dove centinaia  di richiedenti asilo vengono ammucchiati in caserme e capannoni, dove manca qualsiasi servizio per l’integrazione, favorendo solo la ghettizzazione e l’emarginazione sociale. 

Non è un’emergenza. E’ una totale e criminale mancanza di volontà di affrontare un fenomeno strutturale. E’ incapacità di organizzare, gestire e soprattutto programmare un sistema che rispetti la dignità delle persone, dignità protetta dall’articolo 10 della nostra Costituzione.

Leggi tutto l’articolo di Gianfranco Schiavone dal titolo: ‘Perchè il sistema di accoglienza in Italia non funziona: maxistrutture diventate luoghi di segregazione sociale’

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Campi di volontariato in Colombia

Aprile 5, 2023

Un’esperienza intensa che può cambiare il modo in cui sentiamo e pensiamo alla nostra vita: un periodo di collaborazione attiva con i cooperanti che già lavorano con le comunità indigene della sub regione di Abades nel dipartimento di Nariño (Colombia) per aiutarle a diventare autonome nel sostentamento.

Per conoscere una cultura e un territorio totalmente diverso dal nostro e perché no, anche per guardare in modo più limpido dentro noi stessi, il modo migliore è sicuramente quello di diventare parte della realtà che stiamo visitando, lavorando e interagendo in modo attivo con i locali e la loro quotidianità.

Il progetto Economias Nuevas

I campi di volontariato sono organizzati da Oikos Onlus all’interno del progetto Economias Nuevas che è finalizzato allo sviluppo sostenibile delle comunità di Abades, nel dipartimento di Nariño in Colombia. L’obiettivo è quello di offrire alle donne, ai giovani e agli agricoltori del posto gli strumenti tecnici e teorici per sviluppare aziende agricole familiari secondo i principi dell’agroecologia (sistema di agricoltura associato al rispetto e alla salvaguardia dell’ambiente) e della produzione energetica sostenibile.

Che cosa farai nella tua permanenza in Colombia

Durante il periodo estivo, i volontari lavorano fianco a fianco con lo staff dei/delle cooperanti in loco, sostenendoli nelle lavoro quotidiano ma anche proponendo attività destinate alle comunità del posto, come lezioni di inglese o attività manuali. Prima della partenza tutti i volontari partecipano ad un periodo di formazione, anche questo organizzato da Oikos, così da comprendere al meglio l’esperienza e ottimizzare il periodo di permanenza, interpretando correttamente la nuova quotidianità. Il periodo è tra luglio e settembre 2023.

Il progetto Economias Nuevas è cofinanziato con i fondi della l.r.19/2000 della regione Friuli Venezia Giulia e sostenuto con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese.

Aderisci al progetto!

Per aderire al progetto è necessario aver compiuto 18 anni al momento dell’iscrizione e compilare il form di pre-iscrizione che puoi richiedere a comunicazione@oikosonlus.net o telefonando allo 0432 520803. Alla tua domanda di adesione seguirà un colloquio conoscitivo. Per maggiori informazioni, non esitare a scriverci via mail o a telefonare!

 ‘Sapevo che primo o poi avrei fatto un’esperienza del genere. E poi ero curiosa di scoprire l’altra parte del mondo, ma non con gli occhi di un turista e con le sicurezze e le tutele che avrebbe avuto un turista’ – Elena, volontaria in Colombia 2022

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Ucraina: un anno dall’inizio

Febbraio 25, 2023

Intervento OIKOS Onlus durante la Marcia per la Pace, 25 febbraio 2023

Insieme a Ofelia Libralato, coordinatrice dei nostri 72 posti in accoglienza, vorrei condividere alcune riflessioni, come rappresentanti di un’associazione, OIKOS Onlus, che accoglie anche i profughi ucraini, prevalentemente donne, anziani e bambini sul nostro territorio.


Ci siamo chieste cosa significhi ritrovarsi da un giorno all’altro senza nulla ed essere costretti a fuggire dalla propria casa, dal proprio paese, dai propri affetti, cosa significhi dover scegliere cosa portare con sé e partire, per salvarsi, con o senza i propri cari…Per quanto si possa provare empatia immaginando o addirittura ascoltando in prima persona i racconti di guerra, riuscire ad immedesimarsi pienamente con chi scappa dal proprio paese poiché coinvolto in un conflitto armato, è complesso e forse semplicemente impossibile.


Accogliere dei profughi di guerra presuppone innanzitutto una presa di coscienza intima di ciò che stanno vivendo loro e loro con noi negli spazi che gli offriamo e quindi, a prescindere dalla macchinosa regolarizzazione legale e dalla soddisfazione dei bisogni primari, che è il nostro compito professionale, significa mettersi nelle condizioni umane, di relazione che ci diano la possibilità di accogliere l’altro creando le condizioni della sua autonomia e della nostra giusta distanza per poterli aiutare a trovare serenità e costruire progettazioni individuali adeguate.
L’empatia nata anche tra i friulani che abitano nei territori in cui sono ospiti e che abbiamo incontrato nel lavoro di accoglienza e integrazione, deriva senz’altro dal fatto che, a differenza di molti altri profughi che accogliamo, gli ucraini ci assomigliano di più e che l’Ucraina si trova in Europa, ma deriva anche dal fatto che dalla guerra in Ucraina sono fuggiti prevalentemente donne e bambini. Uno scenario che ricorda, soprattutto ai nostri anziani, quello vissuto anche nei nostri paesi e città, per esempio con la rotta di Caporetto che vide fuggire intere popolazioni composte prevalentemente da vecchi, donne e bambini, a causa dell’invasione austro-tedesca.


È passato un secolo, eppure in questo stesso momento la guerra è il vissuto quotidiano di molti ucraini, costretti a sopravvivere al bombardamento delle proprie case o a fuggire per rifugiarsi altrove, con o senza le proprie famiglie, in contesti a volte alienanti e più spesso estranei. Se da cittadini ci si può vagamente immedesimare, da addetti ai lavori si vive un’esperienza totalizzante. La vita nei centri di accoglienza mette in contatto la realtà stravolta dei profughi con quella degli operatori, che condividendo l’accoglienza dall’interno vengono colpiti e coinvolti. Ciò che generalmente si osserva è l’instabilità emotiva di molti, che seppur rassicurati di essere accolti in un paese apparentemente sicuro vacillano tra il desiderio di restare e quello che li tormenta per tornare. Ciò li porta ad isolarsi, rifiutando la lingua e chiudendosi in sé stessi, nella speranza che l’attesa sia breve e il soggiorno solo temporaneo. Alcuni vivono il rimorso di aver abbandonato i propri cari e la propria terra: madri anziane indisposte o inabili ad andarsene, mariti e figli al fronte, case, animali e luoghi d’affezione. Altri ancora, arrivati da profughi di guerra, si travestono da migranti economici, nell’intento di guardare propositivi alla malcapitata sorte.
Tra i giovani c’è chi impara l’italiano, chi si impegna a terminare gli studi o a cercare lavoro, nell’ottica di un futuro colmo di novità ed occasioni. Tra i più anziani si osservano a tratti nostalgia e smarrimento, mentre per chi invece possiede già una rete di conoscenze nel territorio sembra che l’adattamento e l’integrazione siano meno sofferti. Sono invece i più piccoli, i più vulnerabili, a subire passivamente le sorti della guerra. Spesso infatti bambini e adolescenti si trovano ad affrontare l’animo e le speranze combattute dei genitori che hanno come sfondo la prospettiva del ritorno, dovendosi tuttavia calare forzatamente in una nuova vita che impone loro di adeguarsi al più presto alla quotidianità, alla lingua e alla scuola.

“Situazioni come questa ti cambiano completamente la vita. Quando perdi la casa, gli amici più cari, ti sembra di aver perso tutto. La difficoltà risiede anche nel fatto di dover iniziare tutto da zero.” Queste sono le parole di Ihor, un ragazzo ucraino arrivato in Italia nell’aprile 2022, proveniente dalla città di Seversk, nella regione ucraina del Donetsk. Ihor è giovane, esile e slanciato, con lo sguardo innocente di un diciassettenne lievemente disorientato. Ha gli occhi dolci dell’azzurro del cielo e un ciuffo di riccioli biondi che sbuca dal cappuccio. Come per molti suoi connazionali, per Ihor questa guerra spaventosa non ha alcun senso. Oggi vive la sua nuova vita ospite temporaneamente in un centro di accoglienza insieme alla madre e al fratello maggiore. Parla russo e non si capacita della ferocia con cui possono combattersi due popoli fratelli. Continua a mantenere contatti quotidiani con l’Ucraina, con i suoi amici e quando la connessione lo consente con la scuola. Nel frattempo, nonostante le ansie e le inquietudini di questo tremendo scenario, che subisce come molti altri coetanei nella medesima situazione, ha negli occhi una luce di speranza e dei buoni propositi per il futuro. Crediamo che tanti, troppi Ihor siano morti per una guerra che deve essere fermata, che tanti troppi Ihor non vedano futuro e speranza e che questa corsa agli armamenti non sia la strada maestra. Non ci sono dubbi da che parte stare in una vicenda che fa di Putin un dittatore e dell’Ucraina una vittima dell’invasione territoriale, ma crediamo che se c’è una parte in cui stare è quella delle vittime di qua e di là del fronte e che la colpa di questa situazione sia anche di molti politici occidentali che per lunghi anni hanno visto in Putin un “elemento di stabilità”. La colpa di questa guerra è anche nostra, occidentale: siamo stati compiacenti a Grozny in Cecenia e ad Aleppo in Siria e ora ne paghiamo le conseguenze, ma non è inseguendo la corsa agli armamenti che argineremo Putin nella sua follia imperialista.


La creazione dei Corpi civili di pace, istituzionali e professionali, sotto egida Onu e UE, sostitutivi delle forze armate nella prevenzione dei conflitti, è di là da venire. Sono passati più di trent’anni da quando si è cominciato a parlare di questa necessità vitale per anticipare l’esplosione dei conflitti armati nel cuore d’Europa. Ancora non si è fatto niente sul piano operativo. Non possiamo rinviare ulteriormente, e proprio per questo, nel pieno della guerra in Ucraina, è necessario sostenere con ogni forza chi sta lavorando in questa direzione. Oggi per domani. Ci sono gli obiettori di coscienza, i pacifisti e i nonviolenti ucraini, con le associazioni della società civile coinvolte nei processi di peacebuilding, la costruzione della pace e il rispetto dei diritti umani. Ecco noi crediamo sia necessario impegnarsi da una parte nell’accoglienza dei profughi e il Friuli Venezia Giulia sta facendo la sua parte, ma dall’altra noi crediamo sia altrettanto urgente impegnarsi per finanziare la resistenza nonviolenta. Abbiamo davanti due scelte diverse, entrambe legittime, quella dell’ulteriore invio di armi sempre più sofisticate e quella del sostegno alla nonviolenza organizzata in Ucraina, ma se l’industria bellica costruisce i fucili, la nonviolenza i fucili li spezza. Come riuscire a conciliare le visioni? Crediamo sia fondamentale mandare aiuti e finanziamenti alla nonviolenza organizzata in Ucraina, se vogliamo dare speranza ad un’altra idea di Europa e di mondo. Dobbiamo riuscire ad arrivare ad un cessate il fuoco.


Soprattutto chiediamo che si torni a far parlare i popoli, si torni a chiedere alle persone che possano esprimere la loro sorte, il loro futuro. Utilizziamo i corpi di pace non violenti ma per presidiare il rispetto della volontà popolare. Proponiamo e chiediamo che si dia la parola alla gente. Un referendum in cui le popolazioni del Donbass e della Crimea manifestino il loro volere, esprimano cosa vogliono per il futuro. Vogliono stare con l’Ucraina o con la Russia. E alla fine sia rispettato il loro volere e si ponga fine a una guerra sempre più assurda fatta sulla testa della gente e a cui a nessuno viene in mente di chiedere da che parte vorrebbe stare. Si sta guerreggiando per decidere al posto delle comunità cui non si vuole chiedere cosa vogliono. Che i popoli si autodetermino e che la loro volontà venga rispettata, soprattutto che il loro modo di manifestare le loro intenzioni e di prospettare il loro futuro sia tutelato e rispettato.

Chiediamo quindi con forza a tutte le forze organizzate e a tutte le forze politiche in campo di cominciare a fare un lavoro diplomatico serio dal basso, per dimostrare quale prospettiva politica si vuole avere e si vuole disegnare insieme a tutti i popoli della terra, pena la sopravvivenza stessa del pianeta! Con le armi si alimenta la guerra, con la nonviolenza si alimenta la pace, con il dialogo e la partecipazione si nutre il futuro. Gli stessi ucraini sanno che solo un cessate il fuoco potrà fermare la strage e che solo un lavoro diplomatico serio potrà fermare questa folle corsa alle armi.

Per OIKOS Onlus, Anna Paola Peratoner e Ofelia Libralato

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Angoli di Sostenibilità

Gennaio 20, 2023

L’esperienza di Caterina nei Corpi Europei di Solidarietà

Avendo ottenuto l’accreditamento ufficiale da parte del Corpo Europeo di Solidarietà, OIKOS Onlus ha la possibilità di presentare progetti nell’ambito degli European Solidarity Corps (ESC), di aderire ad altri progetti in qualità di partner e di reclutare giovani iscritti al Corpo europeo. Qualche giorno fa abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Caterina Lizzi, che tramite OIKOS quest’anno è partita per un progetto di European Solidarity Corps in Francia. Focus: ambiente e sostenibilità. L’organizzazione che la ospita è 3PA, nata nel 2004 a Lahage, a pochi chilometri da Tolosa: tra spazi di lavoro condivisi, laboratori di riciclaggio, un orto e la fattoria, i volontari, i formatori e gli studenti sperimentano uno stile di vita molto diverso da quello delle nostre città.

Il laboratorio di 3PA.

Cosa ti ha spinta a interessarti ai progetti di European Solidarity Corps?

Ero all’ultimo anno del liceo ed ero in un periodo di grande confusione. Ho frequentato il liceo artistico a Udine, e dal terzo anno avevo scelto il corso di moda, ma ho capito abbastanza presto che non era il corso che faceva per me ed ero convinta che non avrei continuato con moda dopo la fine della scuola. Una volta arrivata in quinta però, non mi era chiaro cosa avrei voluto fare. Avevo sempre avuto voglia di viaggiare e di provare un’esperienza all’estero; un mio professore mi aveva parlato della possibilità di fare volontariato a livello europeo, e dunque ho deciso di provare anche per cercare di chiarirmi le idee.

Come sei arrivata a conoscere 3PA?

La piattaforma degli ESC contiene tutti i progetti dell’Unione Europea, e scegliere è stato un lungo processo. Per fare una prima cernita, ho filtrato i progetti con un focus particolare su ambiente ed ecologia. Ho letto le descrizioni che mi interessavano di più, e nei Paesi che mi interessavano di più, ho cercato di mandare quante più mail possibile per chiarirmi le idee su cosa avrei fatto. Tra gli altri, 3pa era il progetto che mi convinceva di più, anche perché loro sono stati subito disponibili e curiosi verso di me.

Perché 3PA ti ha convinto di più delle altre?

Per i progetti specifici e per come erano presentati sul loro sito. E poi questo progetto non riguarda solo l’ecologia o il riciclaggio, ha anche una dimensione culturale: da appassionata di musica e teatro, mi interessavano anche gli eventi che 3PA organizza nel suo caffè culturale.

Com’è organizzata 3PA?

Oltre a volontari e studenti che vengono in visita, all’interno dell’associazione ci sono studenti retribuiti per seguire i lavori di cantiere e di carpenteria, di fattoria e ripristino degli spazi, ci sono poi persone addette a seguire i gruppi di formazione, ci sono poi i ragazzi del servizio civile francese… ci sono poi i tutor.

Chi frequenta gli spazi e gli eventi di 3PA?

Sì. Al caffè culturale ci arrivano da tutti i paesi vicini. E anche l’associazione è formata da studenti di Tolosa e paesi limitrofi che per passaparola sono arrivati a conoscere 3PA. Poi stiamo avviando un piccolo bistrot che una volta al mese ospiterà degli eventi musicali e culturali, e anche lì chiunque è invitato e verrà coinvolto.

Di cosa ti stai occupando in 3PA?

All’inizio ero una sorta di accompagnamento ai gruppi di lavoro già esistenti, con attività pratiche come il lavoro all’orto e nella serra, la piantatura degli alberi o le attività ordinarie al caffè culturale. Dopo tre mesi con loro, in questo momento mi hanno dato la libertà di avviare dei miei progetti, e per questo io e un’altra volontaria stiamo cercando di restaurare uno spazio comune utilizzato per andare a bere il caffè: era un disastro e lo stiamo rimettendo a nuovo! Oltre a questo, organizzo varie attività con nuovi gruppi di studenti.

3PA è un microcosmo che, dalla sua missione più ampia fino alla concretezza della vostra quotidianità, si fonda sull’ecologia e l’ecosostenibilità: studenti, volontari e formatori del progetto mangiano cibo biologico che altrimenti resterebbe inutilizzato, avete un orto sociale, lavorate al riutilizzo degli spazi… In che modo pensi che un modello del genere potrebbe essere esteso alla nostra società? È un’estensione fattibile o necessita di un cambiamento di paradigma radicale?

È un argomento che discutiamo spesso con gli altri ragazzi qui. Io penso che applicare questo modello di vita a comunità grandi come quelle delle nostre città sia complicato: qui a 3PA  non siamo così tanti e possiamo permetterci di aspettare i tempi della natura e dell’orto. Penso però che piccole cose possano essere applicate anche su larga scala, ma se come società non facciamo un passo indietro trovo difficile replicare nella realtà dei modelli del genere. Certo è che un lavoro più “lento” e non intensivo, come quello agricolo che si fa qui a 3PA, che impegna più persone meglio retribuite e meno macchinari, genererebbe costi dei prodotti superiori a quelli dell’agricoltura industriale e intensiva che arriva nei nostri supermercati, e quante persone potrebbero permettersi queste fasce di prezzo?

Cosa ti aspettavi quando hai deciso di partire con ESC?

Prima di tutto speravo di riuscire a capire che percorso di vita volevo fare, e devo dire che già adesso, dopo solo tre mesi, ho già inquadrato molto meglio quello che voglio fare, soprattutto grazie al confronto con tante persone diverse che gli European Solidarity Corps mi stanno permettendo. E poi volevo provare a vivere lontana da casa, in una nuova cultura, qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. E poi volevo aprirmi, conoscere nuove persone, imparare a viaggiare da sola, e in questi mesi ho capito che questo mi piace, mi rende felice.

Da giovanissima che ha ancora tanto tempo per studiare e per costruire la sua vita, come pensi di portarti dietro l’esperienza di 3PA nel tuo futuro?

Beh, penso che sicuramente mi segnerà per tante cose: ho imparato che ci sono tanti modi diversi di vivere e di per affrontare come umani i nostri bisogni, che non c’è questo bisogno di consumare, e poi anche la capacità di adattarmi in posti nuovi, con persone nuove, la conoscenza di una nuova lingua, più spirito di iniziativa: una volta che sei uscita dal tuo guscio, hai sempre più voglia di aprirti al nuovo.

Dopo questi primi tre mesi, hai già le idee più chiare anche sul tuo futuro universitario?

Prima di partire avevo pensato a discipline legate all’arte dello spettacolo, e anche a storia dell’arte. L’esperienza di volontariato mi ha permesso però di scoprire che una parte di me vuole contribuire attivamente alla costruzione di una società più giusta, dunque ho deciso che, alla fine di quest’anno, studierò scienze politiche. Se non avessi fatto questa esperienza, non ci avrei mai pensato.

Grazie per il tuo tempo.

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