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ANGOLI DI SOSTENIBILITA’

Gennaio 20, 2023

L’esperienza di Caterina nei Corpi Europei di Solidarietà

Avendo ottenuto l’accreditamento ufficiale da parte del Corpo Europeo di Solidarietà, OIKOS Onlus ha la possibilità di presentare progetti nell’ambito degli European Solidarity Corps (ESC), di aderire ad altri progetti in qualità di partner e di reclutare giovani iscritti al Corpo europeo. Qualche giorno fa abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Caterina Lizzi, che tramite OIKOS quest’anno è partita per un progetto di European Solidarity Corps in Francia. Focus: ambiente e sostenibilità. L’organizzazione che la ospita è 3PA, nata nel 2004 a Lahage, a pochi chilometri da Tolosa: tra spazi di lavoro condivisi, laboratori di riciclaggio, un orto e la fattoria, i volontari, i formatori e gli studenti sperimentano uno stile di vita molto diverso da quello delle nostre città.

Il laboratorio di 3PA.

Cosa ti ha spinta a interessarti ai progetti di European Solidarity Corps?

Ero all’ultimo anno del liceo ed ero in un periodo di grande confusione. Ho frequentato il liceo artistico a Udine, e dal terzo anno avevo scelto il corso di moda, ma ho capito abbastanza presto che non era il corso che faceva per me ed ero convinta che non avrei continuato con moda dopo la fine della scuola. Una volta arrivata in quinta però, non mi era chiaro cosa avrei voluto fare. Avevo sempre avuto voglia di viaggiare e di provare un’esperienza all’estero; un mio professore mi aveva parlato della possibilità di fare volontariato a livello europeo, e dunque ho deciso di provare anche per cercare di chiarirmi le idee.

Come sei arrivata a conoscere 3PA?

La piattaforma degli ESC contiene tutti i progetti dell’Unione Europea, e scegliere è stato un lungo processo. Per fare una prima cernita, ho filtrato i progetti con un focus particolare su ambiente ed ecologia. Ho letto le descrizioni che mi interessavano di più, e nei Paesi che mi interessavano di più, ho cercato di mandare quante più mail possibile per chiarirmi le idee su cosa avrei fatto. Tra gli altri, 3pa era il progetto che mi convinceva di più, anche perché loro sono stati subito disponibili e curiosi verso di me.

Perché 3PA ti ha convinto di più delle altre?

Per i progetti specifici e per come erano presentati sul loro sito. E poi questo progetto non riguarda solo l’ecologia o il riciclaggio, ha anche una dimensione culturale: da appassionata di musica e teatro, mi interessavano anche gli eventi che 3PA organizza nel suo caffè culturale.

Com’è organizzata 3PA?

Oltre a volontari e studenti che vengono in visita, all’interno dell’associazione ci sono studenti retribuiti per seguire i lavori di cantiere e di carpenteria, di fattoria e ripristino degli spazi, ci sono poi persone addette a seguire i gruppi di formazione, ci sono poi i ragazzi del servizio civile francese… ci sono poi i tutor.

Chi frequenta gli spazi e gli eventi di 3PA?

Sì. Al caffè culturale ci arrivano da tutti i paesi vicini. E anche l’associazione è formata da studenti di Tolosa e paesi limitrofi che per passaparola sono arrivati a conoscere 3PA. Poi stiamo avviando un piccolo bistrot che una volta al mese ospiterà degli eventi musicali e culturali, e anche lì chiunque è invitato e verrà coinvolto.

Di cosa ti stai occupando in 3PA?

All’inizio ero una sorta di accompagnamento ai gruppi di lavoro già esistenti, con attività pratiche come il lavoro all’orto e nella serra, la piantatura degli alberi o le attività ordinarie al caffè culturale. Dopo tre mesi con loro, in questo momento mi hanno dato la libertà di avviare dei miei progetti, e per questo io e un’altra volontaria stiamo cercando di restaurare uno spazio comune utilizzato per andare a bere il caffè: era un disastro e lo stiamo rimettendo a nuovo! Oltre a questo, organizzo varie attività con nuovi gruppi di studenti.

3PA è un microcosmo che, dalla sua missione più ampia fino alla concretezza della vostra quotidianità, si fonda sull’ecologia e l’ecosostenibilità: studenti, volontari e formatori del progetto mangiano cibo biologico che altrimenti resterebbe inutilizzato, avete un orto sociale, lavorate al riutilizzo degli spazi… In che modo pensi che un modello del genere potrebbe essere esteso alla nostra società? È un’estensione fattibile o necessita di un cambiamento di paradigma radicale?

È un argomento che discutiamo spesso con gli altri ragazzi qui. Io penso che applicare questo modello di vita a comunità grandi come quelle delle nostre città sia complicato: qui a 3PA  non siamo così tanti e possiamo permetterci di aspettare i tempi della natura e dell’orto. Penso però che piccole cose possano essere applicate anche su larga scala, ma se come società non facciamo un passo indietro trovo difficile replicare nella realtà dei modelli del genere. Certo è che un lavoro più “lento” e non intensivo, come quello agricolo che si fa qui a 3PA, che impegna più persone meglio retribuite e meno macchinari, genererebbe costi dei prodotti superiori a quelli dell’agricoltura industriale e intensiva che arriva nei nostri supermercati, e quante persone potrebbero permettersi queste fasce di prezzo?

Cosa ti aspettavi quando hai deciso di partire con ESC?

Prima di tutto speravo di riuscire a capire che percorso di vita volevo fare, e devo dire che già adesso, dopo solo tre mesi, ho già inquadrato molto meglio quello che voglio fare, soprattutto grazie al confronto con tante persone diverse che gli European Solidarity Corps mi stanno permettendo. E poi volevo provare a vivere lontana da casa, in una nuova cultura, qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. E poi volevo aprirmi, conoscere nuove persone, imparare a viaggiare da sola, e in questi mesi ho capito che questo mi piace, mi rende felice.

Da giovanissima che ha ancora tanto tempo per studiare e per costruire la sua vita, come pensi di portarti dietro l’esperienza di 3PA nel tuo futuro?

Beh, penso che sicuramente mi segnerà per tante cose: ho imparato che ci sono tanti modi diversi di vivere e di per affrontare come umani i nostri bisogni, che non c’è questo bisogno di consumare, e poi anche la capacità di adattarmi in posti nuovi, con persone nuove, la conoscenza di una nuova lingua, più spirito di iniziativa: una volta che sei uscita dal tuo guscio, hai sempre più voglia di aprirti al nuovo.

Dopo questi primi tre mesi, hai già le idee più chiare anche sul tuo futuro universitario?

Prima di partire avevo pensato a discipline legate all’arte dello spettacolo, e anche a storia dell’arte. L’esperienza di volontariato mi ha permesso però di scoprire che una parte di me vuole contribuire attivamente alla costruzione di una società più giusta, dunque ho deciso che, alla fine di quest’anno, studierò scienze politiche. Se non avessi fatto questa esperienza, non ci avrei mai pensato.

Grazie per il tuo tempo.

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Dietro il progetto Economias Nuevas

Novembre 21, 2022

Intervista ad Anna Paola Tarulli, cooperante di OIKOS Onlus in Colombia

Qual è il tuo ruolo nel progetto Economias Nuevas?

Sono qui dallo scorso aprile come rappresentante di OIKOS all’interno del progetto. Sostanzialmente, il mio ruolo è di monitorare l’andamento del progetto: assicurarmi che tutte le attività procedano al meglio e nei tempi prestabiliti. Questo presuppone che io abbia a che fare con una serie di attività: ad aprile abbiamo avviato le due scuole, il Tecnico Laboral in Elettricita con enfasi in sistemi fotovoltaici e il Tecnico Laboral in agropecuaria con enfasi in agroecologia. Siamo poi impegnati nella costruzione di un centro dimostrativo sulle energie pulite in cui al momento gli studenti svolgono le attività formative mettendo in pratica ciò che hanno imparato durante il corso, e che in futuro sarà utilizzato come luogo fisico per riunioni, incontri e approfondimenti sul tema delle energie pulite. Siamo alle prese con la costruzione di un’azienda agroecologica comunitaria nella zona del Sande, particolarmente colpita dal conflitto armato. L’obiettivo finale è generare “emprendimientos”, ovvero lavoro per i beneficiari del progetto che metteranno in pratica quanto imparato e svolgeranno le proprie attività nel rispetto dell’ambiente e in armonia con il territorio.

Quali sono nel concreto le strategie insegnate ai campesinos locali per la riconversione delle loro produzioni a un’economia sostenibile?

Innanzitutto occorre specificare che uno dei principali obiettivi di un’economia sostenibile è la produzione di alimenti che siano liberi da contaminanti, attraverso l’utilizzo di tecniche rispettose dell’ambiente e capaci di massimizzare e migliorare la produzione agricola attraverso processi naturali. Per esempio, alcune di queste tecniche sono finalizzate alla prevenzione e al controllo di malattie o all’adozione di strategie agroecologiche tradizionali che riducano la vulnerabilità del suolo: la diversificazione delle coltivazioni, il mantenimento della diversità genetica locale attraverso la coltivazione di semi nativi, o l’aggiunta di materia organica al suolo. Il suolo è la base di tutta l’attività agricola. Ed è proprio per questo che molte tecniche agroecologiche insegnate ai locali sono finalizzate a preservare la salute del suolo. 

Quali sono le principali barriere (organizzative, strutturali, ambientali o di qualsiasi tipo) che le economie locali e contadine di Samaniego devono fronteggiare nell’implementare un progetto di riconversione a un’economia sostenibile?

Sono tante, e possono estendersi anche a livello nazionale. Povertà, cambiamenti climatici, basso livello di educazione, sicurezza pubblica: tutte queste sono vere e proprie macro-barriere che rendono più complesso il passaggio ad un’economia sostenibile a livello locale cosi come a livello nazionale e il ruolo del settore privato, della società civile e dei governi locali è centrale affinchè la Colombia possa operare questa riconversione.

Dal confronto con i locali emerge che la Colombia soffre gli effetti negativi del cambiamento climatico? Quali sono gli effetti concreti sulla terra?

Sì, e le conseguenze coinvolgono soprattutto i piccoli agricoltori familiari, che poi sono i destinatari del progetto Economias Nuevas. Per esempio, è stato registrano un incremento delle inondazioni, o i forti periodi di siccità che causano gravi danni alle coltivazioni. Come dicevo, l’agricolutra campesina, l’agricoltura familiare, è particolarmente vulnerabile di fronte a questo tema a causa della sua condizione di marginalità;

allo stesso tempo, da quello che ho potuto notare in questi primi sette mesi, questo tipo di agricoltura ha una notevole capacità di adattarsi al cambiamento climatico proprio grazie a strategie e tecniche che questi piccoli produttori hanno ereditato dalle propie tradizioni ancestrali.

Questo è anche il bello di questo territorio, il forte legame con la terra che si tramanda di generazione in generazione e un forte rispetto per la Pachamama, la Madre Terra, che vede la terra come una risorsa bisognosa di cura e dedizione. E sono proprio questi sistemi tradzionali, uniti alla conoscenza delle tecniche agroecologiche, che dimostrano più resilienza di fronte al cambiamento climatico. Il timore è però che l’utilizzo di queste tecniche tradizionali non sia suffuciente e poprio per questo è importante che la risposta al cambiamento climatico sia data dall’alto, da una attività di coordinazione e cooperazione intergovernativa. I campesinos possono resistere al cambiamento climatico, adattarsi, essere resilienti…però una risposta deve venire dall’alto.

In occidente la questione climatica è entrata a pieno titolo nel dibattito pubblico. Adesso il tema tocca tutti, e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico viene inserita regolarmente come obiettivo comunitario nelle Agende europee. In Colombia che tipo di narrazione ufficiale c’è del cambiamento climatico?

La Colombia è uno dei paesi del mondo che più sta subendo le conseguenze negative del cambiamento climatico. L’attuale presidente Gustavo Petro, primo presidente di sinistra in Colombia, eletto a maggio e entrato in carica da poco, ha cambiato totalmente il discorso della politica colombiana in molti aspetti, tra cui quello relativo al cambiamento climatico. Proprio recentemente si è tenuta in Egitto la Cop27 e il presidente Gustavo Petro è stato molto duro con le istituzioni, definendo come vero e proprio fracasso le precedenti COP. Tra le varie azioni che Petro ha annunciato c’è per esempio la decisione di consegnare 200 milioni di dollari annuali ( durante 20 anni) per preservare la foresta amazzonica, sperando di trovare come alleati anche Brasile (con il suo attuale presidente eletto Lula, dopo che il suo predecessore Bolsonaro non ha fatto altro che contribuire alla deforestazione di ettari e ettari della selva amazzonica) e con Venezuela.

E tra i campesinos?

Tra i campesinos è evidente una forte preoccupazione per il cambiamento climatico, proprio perché rappresentano la fascia più vulnerabile della popolazione e vivono in zone marginali con bassi indici di sviluppo e una elevata povertà. Nonostante la forte capacità di resilienza che li caratterizza, si sentono impotenti di fronte ad eventi simili e sperano in una risposta rapida e coordinata da parte dei governi. I campesinos si identificano con il loro territorio, la terra in cui vivono è parte della loro essenza: se muore la terra, vedono morire una parte di sé e della propria memoria storica.

Anna Paola Tarulli insieme ai locali all’Espacio Educativo para la Paz y el Buen Vivir.

Nelle economie occidentali, negli ultimi trent’anni le piccole produzioni agricole e contadine sono state strozzate dalla competizione delle grandi produzioni di tipo intensivo e industriale, che generano sfruttamento e caporalato e rompono il legame diretto tra gli agricoltori e le colture, che rappresenta tutto il valore “spirituale” e immateriale del lavoro agricolo – pensiamo anche soltanto al Sud Italia. In Colombia è successo qualcosa di simile? Le piccole economie locali sono minacciate da grandi sistemi produttivi?

Quindi in conclusione, da sempre le piccole economie locali si son viste minacciate dalle grandi imprese multinazionali, ed è proprio a causa di questa costante minaccia che la Colombia è tuttora una terra macchiata dalla violenza e dal conflitto. Sin dagli anni ’60, la questione della distribuzione della terra in Colombia ha rappresentato un grande problema; l’espropriazione da parte dei grandi proprietari terrieri (che con il tempo si sono convertiti in grandi multinazionali) a discapito dei campesinos ha generato profonde disuguaglianze sociali. Proprio a causa di questa diseguaglianza nella distribuzione della terra, con l’obiettivo di combattere queste forme di oppressione vennero a formarsi i gruppi armati che tuttora spadroneggiano in Colombia. La questione fu trattata come primo punto durante gli accordi di pace dell’Avana nel 2016; ma le iniziative legislative per attuare questa re-distribuzione della terra morirono ancor prima di nascere. Quindi è dagli anni 60 che nasce questa costante lotta tra lo stato colombiano, rappresentato dalle grandi multinazionali, e i campesinos,  rappresentati dai gruppi armati. Il nuovo presidente Gustavo Petro propone la cosidetta “paz total”, che consiste in un costante dialogo con i gruppi armati al fine di far cessare la violenza che da decenni è presente sul territorio.

In che modo la presenza costante di gruppi armati sul territorio incide sul modo di fare agricoltura in Narino (sul tipo di colture, sui modi di coltivare ecc.)?

La risposta è abastanza complessa e a mio avviso affonda le sue radici nelle forme di finanziamento dei gruppi armati. Inizialmente si trattava di sequestri, estorsioni e altre attività illecite di questo tipo. Con il tempo, e con l’avvento del narcotraffico verso la fine degli anni sessanta, i gruppi armati, e in particolare le FARC (Fuerzas armadas Revolucionarias de Colombia) hanno capito che uno dei modi per finanziare le proprie attività era proprio farsi uno spazio nel sistema del narcotraffico. Per questo oggi si parla di narco-guerriglia: la guerriglia in questi territori finanzia molte delle proprie attività attraverso il così detto “cobro de gramaje” che consiste nella richiesta di una quantità di denaro ogni chilo di pasta di coca processata dai campesinos nei territori controllati dalla guerriglia, come una sottospecie di pizzo. In cambio, i campesinos possono coltivare la coca “in tranquillità” e trarne un guadagno che sicuramente è molto più proficuo rispetto a qualsiasi altro prodotto, sopratutto in zone in cui lo Stato è praticamente assente per la forte presenza di gruppi armati. Infatti,  qui in Colombia è evidente la forte incapacità dello Stato di “far presenza” in alcuni territori, che sono proprio i territori controllati dai gruppi armati ed è per questo che questa disarticolazione istituzionale e la sua totale mancanza di connessione con la realtà locale, creano le condizioni ottimali affinchè economie criminali possano continuare a fare i propri interessi sul territorio.

Fatta questa premessa, la risposta alla tua domanda è logica. I contadini preferiscono coltivare la coca anziché altri prodotti proprio perchè la coca “es mas rentable”, in sostanza….conviene da un punto di vista economico. Fare la guerra ai contandini è totalmente sbagliato perché loro rappresentano la parte che meno guadagna da questo grande mercato illegale, e molto spesso non hanno scelta. Per combattere davvero la violenza, è necessario cambiare rotta, ovvero: non bisogna colpire i piccoli campesinos che coltivano coca, ma lì dove la cocaina si trasforma in “plata” , in denaro. I campesinos non sono il narcotraffico. Il narcotraffico ha la cravatta…il narcotraffico è potere. É lì che bisogna colpire se realmente si vuole mettere fine a questo problema che affligge la Colombia da decenni!

Che rapporto hanno i contadini colombiani con la terra? E in che modo un progetto come Economias Nuevas può valorizzare o tutelare questo legame?

Per i contadini colombiani, così come per gli indigeni che rappresentano una buona parte della popolazione nel territorio, la terra non solo è un mezzo di produzione ma è anche e sopratutto uno spazio di vita, di intercambio di culture, di spiritualità e di identità. I contadini colombiani si identificano con le terra e sono parte di essa al punto da considerarla una vera e propria divinità: la “Pachamama”, che in lingua quechua significa per l’appunto “Madre Terra”.

Pensa che molti vulcani prendono il nome di “Taita” che in quechua significa papà, inteso anche come maestro, guida spirituale. Ogni elemento naturale ha un proprio nome in quechua, per esempio Yaku, è come qui chiamano l’acqua, fonte di vita che irriga i campi e li rende produttivi. O ancora il fuoco, nella loro cultura è un “abuelo”, un nonno, che conserva tutta la saggezza e i saperi più antichi. É un legame che noi occidentali abbiamo completamente dimenticato. A noi occidentali tutto è dovuto, la terra è al nostro servizio mentre qui per la terra si ha un profondo rispetto. A volte, per addentrarsi in un bosco, scalare una montagna o immergersi in un lago o un fiume, qui si chiede il permesso alla terra. Progetti come Economias Nuevas valorizzano senza alcun dubbio questo legame che i campesinos e i nativi di questi territori hanno con la terra, richiamando il concetto di Buen Vivir inteso come il rapporto diretto con la terra a cui le comunità appartengono e sono orientati a migliorare l’offeta formativo-produttiva presente nel territorio grazie alla diffusione delle nuove modalità di fare impresa e di saperi basati sulla valorizzazione delle tradizioni ancestrali.

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Il Buen Vivir, dichiarazione politica e spirituale

Novembre 8, 2022

Un’intervista al difensore dei Diritti Umani Harold Montúfar Handrade.

Harold Montúfar Handrade è un difensore dei diritti umani. Colombiano di Samaniego, un comune del Dipartimento di Nariño, Harold è stato uno dei coordinatori del Pacto local de Paz, un accordo tra la società civile e i gruppi armati che da decenni in questo pezzo di Colombia la fanno da padrone. Con il Pacto local de Paz, i guerriglieri e i gruppi paramilitari sono tenuti al rispetto della vita, dei diritti umani e della convivenza.

Una democrazia partecipativa con un bilancio pubblico condiviso: è stato questo l’ambizioso progetto di Harold durante gli anni del suo mandato come sindaco di Samaniego; una carica che ha scelto e poi scelto di nuovo, nonostante i numerosi tentativi di sabotaggio e le minacce di morte. Nel 2003, Harold ha fondato l’Instituto Sur Alexander Von Humboldt ISAIS, un’organizzazione con l’obiettivo di promuovere il buen vivir, la democrazia partecipativa e l’educazione giovanile, e grazie alla collaborazione con OIKOS è diventato anche uno spazio fisico – l’Espacio Educativo para la Paz y el Buen Vivir, in cui ha sede il progetto Economias Nuevas. Buen vivir, pace e legame con la terra di origine: OIKOS ha raccolto i presupposti filosofici dell’impegno politico di Harold e li ha resi progetti educativi, secondo un modello di cooperazione internazionale che parte dall’ascolto delle comunità locali e dal profondo rispetto per la loro terra e per la loro memoria storica. Sotto il segno degli ideali di pace e di educazione giovanile, è nato tra OIKOS e Harold un rapporto di profonda collaborazione, e tuttora nei progetti avviati in Colombia, OIKOS vede in lui un punto di riferimento e un caro amico.

Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo e di ascoltare la sua storia e il racconto del suo impegno politico.

Come e perché hai cominciato a batterti per i diritti umani? Quanti anni avevi?

Ho iniziato a lottare per i diritti umani quando avevo 14-15 anni. Già in quel periodo in Colombia c’erano molti gruppi armati che tentavano di appropriarsi del territorio. All’epoca ero presidente del comitato studentesco e tutti noi studenti lavoravamo per la costruzione della pace nel tessuto sociale colombiano e per ridurre le ingiustizie e le diseguaglianze nella società. In questa contesto, abbiamo cominciato a collaborare con gli agricoltori locali, con le donne, con gli indigeni, con le comunità afro-colombiane – abbiamo creato una forza piuttosto grande che si è raccolta in un movimento sociale non solo legato al municipio di Samaniego, ma all’intero Dipartimento di Nariño. E a partire da lì, abbiamo partecipato alla lotta contro le ingiustizie sociali presentando varie proposte al Governo a livello nazionale.

Quali proposte?

La prima e più importante è la desminado humanitario: la rimozione delle mine anti-persona messe nel nostro territorio dai vari gruppi armati. Inoltre avevamo richiesto informazioni sui desaparecidos, gli oppositori ai gruppi armati che sono scomparsi e di cui non avevamo più notizie. E aldilà di queste singole richieste, proponevamo un modello di società basato sul buen vivir.

Tu hai fondato il Movimento Civico Contadino nel 1987, ma al contempo sei stato direttore di pianificazione e sistemi dell’Industria di Alcolici del Nariño e direttore della Fondazione Nariño 2000, dove hai gestito due progetti con le comunità contadine e indigene. Militanza politica e impegno civile, dunque: è questo il tuo modo di declinare nella pratica i tuoi ideali di “lotta per la pace”?

Sono sempre stato “nel mio territorio”, a contatto con la natura del luogo in cui sono nato e con le sue comunità. Il mio impegno politico parte di qui: da un continuo relazionarmi con il mio territorio. Il punto di congiunzione tra l’impegno civile e la militanza politica è proprio l’armonia con la natura.

Cos’è il buen vivir?

In kichwa, la nostra lingua locale, “buen vivir” può essere tradotto con “allin kawsay“: è il rapporto diretto con la natura, una forma di radicamento delle comunità nella terra a cui appartengono. Questo legame non passa solo dalla pratica agricola o dalle forme concrete di relazione con la terra, ma è anche relazione spirituale: tramite il contatto con la terra, l’uomo può recuperare una dimensione di armonia interiore che si riverbera nel suo stare con gli altri e nella vita collettiva.

Quindi secondo te la pace è una condizione naturale?

Assolutamente sì: è generata da Madre Terra – da patchamama, come la chiamano le popolazioni andine. C’è una relazione intima tra la natura e una società pacifica. E viceversa, quando si rompe questo vincolo con la natura, le società diventano accumulatrici di beni materiali, e le diseguaglianze economiche generate da questa dinamica causano conflitti. È quindi dal rapporto con la terra e la natura che nasce l’impegno politico per la pace.

Gli studenti di Economias Nuevas imparano a installare impianti fotovoltaici. Foto: Anna Paola Tarulli

In fondo, anche i progetti di OIKOS in Colombia, come Economias Nuevas, sono progetti in vario modo legati al recupero del rapporto con la natura e con la terra. Quindi il buen vivir è anche una posizione politica?

Certo che sì. Il Buen vivir è anche una postura politica, è legato alla teoria della decrescita, alla lotta al cambiamento climatico… è la forma più sostenibile in cui l’uomo può seguitare a vivere su questa terra: convivendo con la natura.

Dopo vari tentativi di sabotaggio, nel 2004 per tre anni sei stato sindaco di Samaniego. Quali problemi sociali e politici hai dovuto affrontare da Sindaco?

Il problema principale era la presenza dei gruppi paramilitari che minacciavano il benessere delle comunità. Avevamo molti gruppi armati e le strade dei nostri paesi non erano sicuri. Allora lanciammo una proposta di pace che ha preso il nome di “pacto Local de Paz”, e una proposta politica chiamata “orçamento partecipativo”: una forma di democrazia partecipativa in cui il governo, attraverso degli incontri aperti, consulta i cittadini su cosa includere nella Legge di Bilancio Annuale, e in cui il budget economico di cui il Sindaco dispone viene allocato nelle varie opere pubbliche di comune accordo con i cittadini. In questo modo, le scelte prese dalla classe dirigente sono costantemente monitorate dalla società civile.

Per la tua esperienza come costruttore locale di pace, sei stato chiamato a lavorare per le Nazioni Unite PNUD nei programmi di attivazione economica della zona del Vulcano Galeras e con i giovani della Costa Pacifica del Nariño. Ma poi hai lasciato di nuovo il lavoro per la nuova campagna elettorale come sindaco di Samaniego nel 2011. Cosa ti ha spinto a lasciare per due volte il lavoro per rivolgerti sulla politica?

Ho sempre sentito di avere un dovere nei confronti della mia terra e nei confronti della mia comunità. Volevo dare una voce a queste persone.

Nel 2003 hai fondato l’Instituto Sur Alexander Von Humboldt ISAIS. Qual è la missione dell’organizzazione?

Proteggere l’ecosistema e la natura, generare democrazia partecipativa, incentivare l’educazione come presupposto fondamentale per la fioritura umana dei giovani. Il prossimo anno, l’Instituto compirà vent’anni! È molto importante per noi la collaborazione dell’Italia, della Regione Friuli-Venezia Giulia, di OIKOS, ed è grazie a queste collaborazioni che abbiamo potuto costruire uno spazio fisico come l’Espacio Educativo Para la Paz.

L’Espacio Eductivo para la Paz y el Buen Vivir.

Di recente sei stato precandidato come governatore del Nariño. Accetterai questo ruolo?

L’ho già fatto: mi sono candidato come governatore di Nariño per le elezioni del prossimo anno all’interno del Pacto Historico, un’organizzazione di sette partiti politici e quattordici movimenti sociali.

Chiaramente, le posizioni del programma politico con cui concorreremo sono sempre le stesse: buen vivir, lotta per la pace, diritti umani, difesa della natura, orçamento partecipativo.

Quali sono le principali questioni socio-politiche oggi nel Dipartimento di Nariño che da governatore ti troveresti ad affrontare?
Abbaiamo tre principali problemi: il narcotraffico, in particolare della coca; il tema della diseguaglianza sociale e l’urgenza di un accordo con i gruppi armati del territorio.

Grazie per il tuo tempo.

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Economias Nuevas: due testimonianze dalla Colombia

Ottobre 6, 2022

Si è da poco conclusa la prima fase di “Economias Nuevas”, uno dei progetti di cooperazione internazionale di OIKOS in cinque comuni del Dipartimento del Nariño in Colombia. Economias Nuevas ha ottenuto il finanziamento dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia nell’ambito della Programmazione 2019-2023 della legge regionale 19/2000 ed è sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.

Tra le aule di legno del bellissimo “Centro per la Pace” – l’Espacio educativo para la Paz y el Buen Vivir – donne, giovani e agricoltori di Samaniego hanno seguito per tre mesi i corsi teorici e pratici di agroecologia e di produzione di pannelli fotovoltaici. L’obiettivo: integrare modalità produttive ecosostenibili nel sistema agricolo locale. Il grande successo del progetto e l’entusiasmo dei partecipanti hanno consentito l’avvio di una seconda fase.

Economias Nuevas ha dato l’opportunità a due giovani studentesse del nostro territorio, Elena Degli Uomini (San Daniele del Friuli) e Samantha Quargnul (Pradamano), di partire da volontarie per dare lezioni di inglese ai beneficiari del progetto; due settimane fa sono tornate in Italia con gli occhi pieni dei paesaggi e delle persone di Samaniego. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistarle e di ascoltare la loro esperienza.

Da sinistra, Samantha Quargnul e Elena degli Uomini

Come avete scoperto il progetto Economias Nuevas?

S: È stato molto casuale; il progetto è finanziato dai nostri Comuni di residenza, e su Instagram una ragazza dell’amministrazione comunale di Pradamano aveva condiviso nelle sue storie il bando per fare domanda tramite il Comune. Ho pensato: “Questa estate non ho niente da fare, non ho nessuno con cui viaggiare: parto.” Ho poi scoperto che avrei dovuto mandare la domanda in Comune proprio all’ufficio dove lavora mia mamma. Quando le ho chiesto perché non mi avesse parlato di questo progetto, mi ha risposto che non pensava avrebbe mai potuto interessarmi. E invece eccomi qui, di ritorno da un mese in Colombia.

E: Io l’ho scoperto tramite la scuola che frequento: un’altra ragazza aveva fatto un’esperienza simile in Colombia; a scuola avevamo anche un referente di cittadinanza attiva che periodicamente ci mandava dei bandi e nel vedere questo ho deciso di provarci.

Cosa vi ha spinte a partire?

S: L’esigenza di continuare un percorso di cambiamento e di crescita che già era in atto quando mi sono trasferita a Bologna a studiare. Sai, sono una perfetta friulana – o almeno, pensavo di esserlo. Molto chiusa, legata alle sue sicurezze… L’esperienza universitaria a Bologna poi mi ha completamente stravolta, e nel cavalcare questo cambiamento ho deciso che era tempo di partire in Colombia.

E: Io sapevo che prima o poi avrei fatto un’esperienza del genere. E poi ero incuriosita dalla possibilità di scoprire l’altra parte del mondo, ma non con gli occhi turistici e con le sicurezze e le tutele che avrebbe avuto un turista: eravamo in un’area non molto facile.

A cosa ti riferisci?

E: Samaniego, il paesino in cui abbiamo vissuto, è sperduto nelle Ande. Prima di partire abbiamo dovuto seguire un corso di sicurezza, in preparazione all’esperienza! Abbiamo passato la prima settimana in isolamento: una scelta dell’associazione e dei cooperanti che ci ospitavano: era preferibile che gli abitanti si abituassero gradualmente all’arrivo di due europee.

L’Espacio educativo para la Paz y el Buen Vivir, Samaniego

Il progetto Economias Nuevas è finalizzato a ridurre la vulnerabilità economica e sociale delle donne, dei giovani e delle popolazioni rurali. Quali sono le problematiche vissute dagli indigeni in Colombia?

E: I colombiani, specie le popolazioni rurali, vivono in un contesto in cui sono obbligati a lavorare con la cocaina o comunque nell’illegalità. Crescono in un contesto in cui commerci di questo tipo sono completamente sdoganati, e non c’è la stessa percezione dell’illegalità che potrebbe avere un europeo nel proprio paese.

S: Manca un’alternativa. Immagino che molti abitanti non siano felici di assecondare questo stato di cose, ma se ti ribellassi verresti ucciso. Non c’è la possibilità di immaginare un cambiamento radicale dal basso.

Le popolazioni locali colombiane sono organizzate in piccole comunità o in cooperative di produzione. Il progetto di Economias Nuevas è ambizioso: tentare di convertire un sistema di produzione agricolo, in un territorio rurale, in cui certe modalità di coltivare sono fortemente radicate. Quali sono le barriere da abbattere affinché un progetto alternativo ed ecosostenibile come Economias Nuevas attecchisca?

E: Secondo me non si tratta tanto di fare in modo che un nuovo modello “attecchisca”; non si trattava di impiantare un nuovo modello su quello tradizionale, ma di integrare un modello ecosostenibile con qualcosa di già esistente. Mi pare che tutti usassero metodi ecosostenibili, ciascuno nel proprio modo. Sono popolazioni profondamente legate alla natura, perciò hanno il loro modo di assecondare i suoi cicli e di trarne i frutti. Paradossalmente, forse è più facile integrare un modello ecosostenibile in queste culture, particolarmente legate alla terra che coltivano da millenni con le stesse tecniche.

S: Confermo. Il progetto non intende snaturare lo stato delle cose, ma migliorarlo. Cerca innanzitutto di dare a tutti gli strumenti tecnici di base per implementare questo tipo di agricoltura; e poi lo fa nel rispetto di quello che sono e che fanno da secoli.

Ad esempio?

S: Estendendo su larga scala dei metodi che già conoscevano, o passando loro degli strumenti che rendano più efficienti tecniche che già conoscono.

Ma fino a che punto queste popolazioni erano consapevoli del tema dell’ecosostenibilità prima di conoscere questi progetti?

E: Secondo me non si rendevano neanche conto di essere “gentili” con l’ambiente. Non conoscono i macchinari e le tecniche che usiamo in Occidente, si affidano ai loro metodi tradizionali da millenni. Concetti come “ecosostenibilità” o “agroecologia” appartengono a strutture occidentali, nate quando in questa parte del mondo abbiamo realizzato che la questione climatica va affrontata attuando dei cambiamenti nei nostri sistemi produttivi.

E in che modo invece hanno recepito la parte “imprenditoriale” del progetto? Sono disposte a lanciarsi nell’avvio o nella conversione di un’attività in una modalità ecosostenibile?

E: Io li ho visti molto aperti. Ce li hanno presentati come persone molto chiuse, eppure io li ho visti molto interessati. Anna Paola, la cooperante di OIKOS che lavora a Samaniego, ci aveva accennato che c’erano altre persone interessate a partecipare, ma le iscrizioni si erano già chiuse e non c’è stato modo di inserire nuovi partecipanti… ma c’erano molte persone interessate a questi temi.

S: Soprattutto i partecipanti al corso di produzione di pannelli fotovoltaici erano in gran parte molto avanti con l’età, e già lavoratori con molta esperienza. Mi ha scaldato il cuore vedere come un signore di cinquant’anni, nonostante il suo lavoro, venisse volentieri a imparare. Nonostante avesse lavorato molti anni con un certo metodo di produzione, era disposto a mettersi in discussione e a imparare qualcosa di nuovo. In questo senso mi sono stupita non tanto dei giovani, quando degli adulti che hanno partecipato. Qui in Europa è molto diverso: dopo una certa età, se si ha un lavoro stabile e garantito, si fa fatica a mettersi in gioco con questa spontaneità.

Come ti spieghi questa differenza?

S: Non so se sia una questione di semplice umiltà o se provano anche la sensazione di “avere qualcosa da imparare”, da abitanti del terzo mondo coinvolti in un progetto nato in Europa.

E: Forse hanno una mentalità più aperta rispetto alla nostra. Avendone l’opportunità, decidono di fare qualcosa di nuovo pur senza averlo mai sperimentato. Hanno un modo semplice di vedere le cose, con cui colgono le opportunità in maniera spontanea, senza farsi troppe “paranoie” su se e quanto potrà tornargli utile.

Samantha e Elena tengono una lezione di inglese ai locali nell’Espacio educativo para la Paz y el Buen Vivir

Parallelamente a tutto questo, continua l’ampliamento dell’Espacio Educativo para la Paz in cui si sono svolte le lezioni teoriche di Economias Nuevas. I primi due livelli sono stati completati lo scorso giugno e altri due verranno ultimati nei prossimi mesi. Che atmosfera si respira in questo spazio?

S: Questa è una cosa che ci ha toccate da vicino! Stavano costruendo questo padiglione proprio accanto alla nostra camera, e dalle 7:30 eravamo svegliate dai rumori del cantiere! [ridono]

E: Le persone che abbiamo incontrato nel Centro per la Pace sono molto accoglienti; magari nei primi momenti ti guardano da lontano, ti fanno giusto un cenno di saluto, ma poi iniziano a coinvolgerti in una conversazione o a condividere il loro cibo. E poi si percepisce il senso del gruppo.

S: Sono anche molto flessibili nella relazione: durante le lezioni di inglese, eravamo noi le insegnanti e loro gli allievi, ma appena fuori dall’aula erano in grado di abbattere questa barriera e si relazionavano con noi in maniera calda e amichevole.

Avete avuto occasione di passare del tempo con i locali anche al di fuori dell’Espacio Educativo para la Paz. Una cosa che vi piace ricordare di quei momenti?

S: Il senso di protezione. Avevamo formato un gruppo con alcuni di loro, e una cosa che mi era piaciuta tantissimo è la sensazione di essere protetta. Conoscono la situazione, sanno che noi, da occidentali, veniamo notate più facilmente, e per strada o nelle zone in cui potevamo essere più esposte cercavano di garantirci il massimo conforto possibile.

E: A me è piaciuto molto il coinvolgimento: di fatto, noi non li conoscevamo. Eppure tutte le volte che siamo usciti insieme non hanno esitato a portarci in piccole escursioni a Samaniego, o a bere una cosa con i loro amici, a farci domande sulle nostre vite. Nonostante fossimo completamente estranee al loro contesto, ci hanno incluso.

Siete giovanissime: in che modo pensate che questa esperienza potrà aiutarvi a definire il vostro futuro?

E: Io sono tornata a casa con più consapevolezza rispetto a ciò che succede in America Latina. Dopo questa esperienza ci sono cose che guardo con occhi diversi, soprattutto le opportunità offerte dal mondo che ci circonda: cose che in Colombia un ragazzo della mia età non potrebbe mai fare, mentre io sì.

S: Provo lo stesso sentimento. E poi ho scoperto una parte di me che non pensavo esistesse: quella parte che ha iniziato a fare capolino quando ho deciso di lasciare Pradamano e di andare a studiare a Bologna, e che ha deciso poi di cogliere l’occasione della Colombia quando si è presentata.

Avete in programma di tornare in Colombia o altri progetti di cooperazione?

E: Se dovesse capitare un’occasione simile sì, penso che tornerei lì.

S: Vorrei stabilirmi in Colombia per un po’ dopo la laurea triennale, che conto di finire il prossimo luglio; nel frattempo, pianifico di tornarci un mesetto durante quest’anno, incastrando questo viaggio con gli studi.

Davvero bellissimo! Grazie per il vostro tempo.

Economias Nuevas ha ottenuto il finanziamento dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia nell’ambito della Programmazione 2019-2023 della legge regionale 19/2000 ed è sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.

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Filed Under: News Tagged With: Colombia, Colombia Samaniego, cooperazione internazionale, ecosostenibilità, Oikos Onlus

26 agosto: “Questa notte non torno”, incontro con Antonella Sbuelz

Agosto 23, 2022

Venerdì 26 agosto alle ore 18:30 nella nostra comunità per minori stranieri non accompagnati di Fagagna in via Zoratti 22 si terrà la presentazione del libro “Questa notte non torno” di Antonella Sbuelz, con la presenza dell’autrice.

Modererà Anna Piuzzi.

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