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Congo. Il diario di Marta, infermiera

Maggio 16, 2017

congo-marta-manuel

Se dieci anni fa mi avessero chiesto “Come ti vedi tra 10 anni?”, avrei risposto “Mi vedo in Africa, mi vedo infermiera e mi vedo sposata con la persona giusta.” Kimbondo è in poche parole la realizzazione perfetta del mio sogno più grande. Ho 24 anni, e assieme a Manuel, 30, abbiamo sostanzialmente dato inizio alla nostra vita matrimoniale qui in Congo. Siamo entrambi cooperanti con Oikos Onlus; io porto a termine il progetto New Neo, precedentemente seguito da Agnese, e Manuel cura il progetto di Kinta. Questa è una semplice pagina di diario sulla mia vita da infermiera italiana a Kimbondo.

Terapia Intensiva al mattino, Neonatologia al pomeriggio

Oltre a seguire il progetto New Neo, il mio lavoro consiste nel fornire apporto infermieristico alla NEO, la Neonatologia, al pomeriggio, e alla Terapia Intensiva, al mattino. Sono bastati i primi cinque minuti del primo giorno di lavoro per capire che non valeva nemmeno la pena fare un confronto tra la Terapia Intensiva Pediatrica dove ho lavorato in Italia e quella dove, per una buona fetta di tempo, d’ora in poi lavorerò. Non mi sento però di fare alcuna critica a riguardo, elencando le tante cose che non funzionano o che andrebbero indiscutibilmente corrette. Non è per portare il mio mondo così schematico e rigoroso che sono venuta qui, ma per portare me stessa, il mio contributo e le mie conoscenze, cercando di dare una mano e supervisionare il lavoro dei miei colleghi, con attenzione ma allo stesso tempo umiltà, perché anch’io, qui, ho molto, moltissimo da imparare.

congo-marta

 Cosa impara un’infermiera in Congo

Prima di venire qui non avevo mai curato un paziente malarico. Non sapevo riconoscere la cianosi in un paziente nero, semplicemente perché non l’avevo mai vista. Ignoravo che prendere una vena in una persona con la pelle nera , bambino o adulto che sia, non è più difficile che in una persona con la pelle bianca, l’anatomia in fondo è la stessa. Non avevo idea di che cosa significa dover lasciare andare un bambino al suo destino perché mancano le medicine per poterlo urgentemente curare in tutto l’ospedale e la madre non ha i soldi per comprarle all’esterno. Non sapevo cosa significa vedere morire tre bambini in una stessa mattinata. Non sapevo che cosa si prova nel vedere una bambina in coma da malaria, dopo che per giorni ho cercato di scacciarle le mosche di dosso, di lavarla e abbassarle la febbre con lo stesso pagne (tipico tessuto africano)  imbevuto d’acqua piovana per una settimana intera, cantandole canzoncine improvvisate con il mio francese maccheronico, risvegliarsi e uscire dalla Terapia Intensiva con le sue gambe, dopo avermi regalato il sorriso più bello di sempre, ricco di tacito affetto e gratitudine.

Passione e affetto

Chi lavora in ospedale è abituato molto più che altre persone a separare il lavoro e le esperienze che si avvolgono attorno alla propria vita professionale dalla propria vita privata. Questo è ciò che ogni giorno mi salva dall’oltrepassare il sottile confine che intercorre tra il fare bene il mio lavoro con passione, trovando il mio posto e la mia dimensione qui, e il farmi mangiare da tutto questo. Tuttavia ciò non significa rimanere impassibili di fronte alla miriade di emozioni di ogni genere che questo mondo ti offre continuamente. Perché anche se siamo qui per seguire un determinato progetto, rimanere distaccati da tutto ciò che vi è attorno è pressoché impossibile. Chiunque, dai bambini più piccoli ai ragazzi e ragazze più grandi, hanno un immenso e disperato bisogno d’affetto. E se si è persone, come noi, con uno spiccato spirito materno e paterno  è impossibile non legarsi in qualche modo a loro. E accorgersi poi che non sono soltanto loro ad aver bisogno di noi ma anche noi in qualche modo di loro.

congo-marta
Maria Jose

Una tra quelli a cui so già rimarrò eternamente legata è Marie Jose, piccola figlia di Kimbondo di circa tre anni. Quando sono arrivata, a fine gennaio, non camminava, quasi non si muoveva, non sorrideva, non parlava. Se ne stava in un angolo a gambe incrociate e osservava la vita degli altri bambini passare. Non aveva nemmeno la forza per mangiare e bere da sola. Drepanocitosi e malnutrizione non le permettevano di crescere in maniera normale assieme a tutti i suoi 125 fratellini e sorelline della NEO. Inoltre continue malattie con successivo ricovero in Terapia Intensiva la debilitavano sempre più. Ho sentito che per lei non dovevo essere soltanto una semplice infermiera, dovevo anche essere un po’ la mamma che non ha mai avuto, perché con un trattamento di qualunque genere ma senza un’ adeguata dose di affetto non avrebbe mai fatto sufficienti progressi.

Nel posto giusto

Ora, dopo un mese e mezzo, mangia (e aggiungerei, di gusto) in completa autonomia, da più di tre settimane non va in Terapia Intensiva, riesce a camminare se tenuta per mano ma soprattutto è felice. Ride tanto, chiacchiera, gioca con gli altri bambini e poco alla volta sta diventando una bambina “normale”, capace di farsi strada da sola nella non facile vita dei bambini della Neo e di tutti gli altri piccoli abitanti della Pediatria di Kimbondo. Ora che Marie Jose sta meglio mi sto occupando primariamente di altri bambini, i cui bisogni e le cui cure sono ora più urgenti e la cui salute più fragile, pertanto è diminuito molto il tempo che passiamo insieme. Eppure ogni giorno, quando entro alla Neo, vederla venirmi incontro piena di energia, urlando il mio nome dalla felicità mi fa puntualmente sentire un tuffo al cuore dalla gioia. Sono infinitamente orgogliosa di lei, che ce l’ha fatta. La sua felicità è contagiosa, e mi ricorda ogni giorno il motivo per cui sono qui. Qui, nel posto giusto.

Marta Battaini

Pediatria di Kimbondo, 14/03/2017

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Filed Under: Africa, Esperienze di volontariato, News, Progetto New Neo

Nicole racconta la “sua” Africa

Ottobre 26, 2016

Proponiamo oggi un altro racconto di viaggio, questa volta la narratrice si chiama Nicole: ciò che mi colpisce, leggendo questi contributi, è la profondità d’animo e la sensibilità di queste ragazze e ragazzi, conosciuti pochi mesi fa e che pare avere da sempre accanto. Probabilmente le affinità della nostra “missione” corrispondono con le anime che si affacciano per la prima volta alla cooperazione. Buona lettura!

Qui non ho bisogno di nulla che io non abbia già.

Proprio come mi ha detto Ismael quel giorno di inizio Agosto, camminando fra i mercati di Kinshasa: “Aquí nunca pienso en lo que no tengo. Siempre pienso en lo que tengo. Y estoy feliz.” (Qui non penso mai alle cose che non ho, ma penso sempre a quello che ho. E sono felice).
Ed è così che mi sono sentita per tutti quei trenta giorni vissuti alla pediatria di Kimbondo, Repubblica Democratica del Congo: felice. [Read more…]

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La mia esperienza in Neonatologia-Pediatria di KIMBONDO (Kinshasa)

Luglio 18, 2016

Agnese Castellarin, cooperante a Kimbondo per conto di OIKOS, racconta la sua esperienza all’interno della neonatologia-pediatria. Buona lettura

LA VITA E’ UN DONO SPECIALE!

Non è la mia prima esperienza in Africa ed in Repubblica Democratica del Congo ma la prima all’interno di una Neonatologia e con dei bambini così piccoli. Alcuni di loro li ho visti arrivare, li ho presi in braccio e le loro manine erano grandi quanto un mio dito. E’ il caso della piccola Evelyn e del piccolo Hugo Marco, abbandonati rispettivamente dai loro genitori e portati in Pediatria da due passanti sulla strada. All’arrivo di ogni piccola ed importante vita P. Hugo, presidente della struttura e missionario pediatra, sceglie per ciascuno un nome. Un nome per ciascuno dei suoi attuali 460 piccoli e giovani abitanti.

IMMAGINI DI VITA DELLA NEO. Un reparto ospedaliero che funge anche da casa/rifugio per 111 bambini, un numero che varia di giorno in giorno, grazie ai neonati che arrivano abbandonati dalle loro famiglie e a causa dei decessi dovuti alle condizioni in cui gli stessi arrivano qui. Bambini normodotati, portatori di handicap. Bambini sani e bambini spesso colpiti da idrocefalia, malnutrizione, malaria e affetti da HIV/AIDS. Bambini felici di scorrazzare tra le camere, il corridoio, l’atrio ed il refettorio della Casa. Bambini rifiutati o orfanelli di padre e madre che sono stati accolti alla Pediatria.

Bambini che corrono, si esprimono a loro modo e che gattonano, strisciano lungo il corridoio, che dormono e che a volte fanno fatica ad addormentarsi subito la sera nella struttura in cui OIKOS ONLUS, AMAHORO e i partner del progetto “New Neo” hanno deciso di impiegare i fondi regionali del Friuli Venezia Giulia per la cooperazione internazionale allo sviluppo.

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